lunedì 19 dicembre 2016

BUON NATALE - MERRY CHRISTMAS - JOYEUX NOEL - FELIZ NAVIDAD - FROHE WEIHNACHTEN - BON NADAL

Sinti la pastorela,
che l`angelo de note
nunziava a mezanote
ai boni cuori:

Levève su, pastori,
vigni dorar Gesù!
No intardighève più,
nato `l xe là.
Jacopo Bassano, gli angeli annunciano ai pastori la nascita di Gesù

Xe `l verbo Dio incarnà,
fio d`una Verginela,
in t`una cassinela,
Bel Bambinel.

Tra `l bò e l`asinel,
in magnadora `l stà:
de strasse involtizzà
su `l fien el zase.

EI ga portà la pase
con alegressa santa:
de `l ziel zozo `lla manda
in tera ancora...



Giorgione, Natività Allendale

No intardighève alora!
De tuto quel che ò dito
trovarè ben un scrito...
E `l xe andò via.

Groliosi per la via
ma i ga studià i pastori,
portando rose e fiori,
al bel putin,

Osana - int`el camin
cantava anca i re magi,
intanto che i sui ragi
deva la stela. 
(venetoedintorni.it)

Tintoretto, Adorazione dei Magi

giovedì 24 novembre 2016

VISITA GUIDATA ABBAZIA DI FOLLINA

SABATO 10 DICEMBRE
DOMENICA 11 DICEMBRE
ORE 15:00

REGALATEVI L'ARTE

In occasione del tradizionale mercatino di Natale


Venetiae Emotional Guide in collaborazione con Onda Verde Viaggi vi invita a concedervi un momento speciale. 

chiostro romanico


Fra una bancarella  e l'altra, fra un pacchetto regalo e un bicchiere di caldo vin brulè, vi aspettiamo per raccontarvi la storia e l'arte di questo magico borgo e della sua antica abbazia cistercense. Gradita la prenotazione. 

 
chiostrino dell'abate
 






Costo per persona: 5,00 euro - bambini fino ai 10 anni gratuito
Info & prenotazioni: 339.5096617 -  giovanna@venetiae.it - oppure Onda Verde Viaggi 0438.970350 da lunedì a venerdì 9.00-12.00 - 15.00-19.00 - 339.1329568 fuori orario ufficio.

lunedì 15 agosto 2016

16 AGOSTO VENEZIA FESTEGGIA SAN ROCCO DI MONTPELLIER IL SANTO DELLA PESTE

A Venezia, il culto a San Rocco riveste fin dalla seconda metà del XV secolo una rilevante importanza, tanto da essere considerato Santo copatrono della città.
Santo apotropaico, era invocato come protettore dal terribile morbo, la peste, che mieteva migliaia e migliaia di vittime ogniqualvolta scoppiava un'epidemia. E Venezia era sempre in prima linea.

Jacopo Tintoretto - San Rocco in Gloria
 L’apertura del processo di canonizzazione di san Rocco si fa risalire al 1377, ad opera di papa Gregorio XI, ma non esistono documenti in merito. La santità di Rocco fu sicuramente riconosciuta “ex consensu Ecclesiae: culto immemorabile”, che papa Urbano VIII approvò con decreto solenne nel 1625. Ma, secondo Francesco Diedo, già nel 1414 a Costanza, per lo scoppiare di una pestilenza all’apertura del Concilio, i padri conciliari invocarono san Rocco, recandone l’immagine in solenne processione e ottenendone la protezione. La peste cessò e il Concilio poté essere celebrato.A seguito di questo miracoloso evento, sorsero numerose confraternite in tutta Italia in nome di San Rocco. 

Le spoglie del Santo
A Venezia, la prima confraternità nacque nel 1478 ed alcuni anni dopo, nel 1485, infuriando un'altra pestilenza che in un solo anno uccise in città 30.000 persone, il corpo stesso vi fu traslato a Venezia, in circostanze ancora poco chiare. Lo storico Flaminio Corner (1693-1778) ci racconta come il recupero delle spoglie di San Rocco si debba al monaco camaldolese Mauro che, per sciogliere un voto e su richiesta del Guardian Grando della Scuola, Tommaso di Alberti, si recò a Voghera, nel castello del conte Pietro dal Verme e riuscì, non senza peripezie, a trafugarle e a portarle a Venezia. La descrizione dell’impresa è conservata tra i documenti della Scuola (Atti del riconoscimento del corpo di san Rocco, b. Corpo di san Rocco – Atti storici e biografici, n. 7 antico).
Il 13 marzo il patriarca Maffeo Girardi ne comunicava al Consiglio di Dieci l’avvenuta traslazione, certificandone l’autenticità, ma, non avendo ancora la Scuola una sede definitiva, la reliquia fu deposta provvisoriamente prima nella chiesa di San Geminiano, poi nel palazzo del patriarca di Grado, presso la chiesa di san Silvestro, fino a che, ultimata la chiesa eretta per custodirla, vi fu trasferita il 3 marzo 1490.

A San Rocco era già stata attribuita la fine dell'epidemia del 1478, tanto che la Serenissima, dopo la peste del 1576, decretò che il 16 agosto, dies natalis del Santo, fosse festa solenne, voto dell'intera comunità. In quel giorno il Doge e la Signoria si recavano in processione per assistere alla messa e per rivolgere voto di ringraziamento. Terminata la messa, il Guardian Grando della Scuola offriva un ricchissimo banchetto nella Sala Grande. Dopo il banchetto, il doge si portava per una breve funzione ai Frari, per poi rientrare in Palazzo su una grossa peatona. Nel campo si svolgeva poi la fiera, con le varie bancarelle, ma anche con i quadri dei giovani pittori esposti lungo i muri delle case, ed in questo modo potevano farsi conoscere ed apprezzare. Festa di popolo, culto religioso e rituale civile si sovrapponevano e si completavano l'uno nell'altro. 

Canaletto - La Festa di San Rocco

Culto civile, innanzitutto: l'introduzione ufficiale del culto di San Rocco cade proprio nel periodo della creazione del Magistrato alla Sanità, che nasce con il programma politico di contrastare la peste con l'organizzazione dei due lazzaretti e composizione dell'isolamente e della quarantena. Rocco era l'esempio da seguire la scelta della volontaria emarginazione nel bosco è un chiaro invito ai malati di peste di accettare di entrare in lazzaretto per curarsi salvaguardando la collettività; il cane rappresenta la mano pubblica che provvede al sostentamento dei malati fino al loro reinserimento dopo la guarigione.
Accanto alla chiesa, ricostruita poi nel corso del XVIII secolo, si trova ancor oggi la prima sede della confraternita; la Scoletta del Santo, dall'architettura sobria ed elegante, mentre nel 1515 si iniziò la costruzione dell'attuale Scuola Grande di San Rocco, ben più fastosa e monumentale, segno anche dell'accresciuta importanza che la confraternita stessa aveva acquisito nella vita cittadina. Fra 1564 e 1587, le sale verranno interamente decorate da Jacopo Tintoretto, che qui ci ha lasciato uno dei suoi massimi capolavori.

Scuola Grande di San Rocco

Ma cosa sappiamo della vita del Santo? Nonostante la sua grande popolarità in tutto il mondo crisitano, le notizie sulla sua vita sono molto frammentarie. È possibile, comunque, grazie ai molti studi fatti, tracciare a grandi linee un profilo biografico, elaborando una serie di notizie essenziali sulla sua breve esistenza terrena. Tra le varie “correzioni” che sono state proposte alle date tradizionali (1295-1327), si è gradatamente imposta quella che oggi sembra la più consolidata: il Santo è nato a Montpellier fra il 1345 e il 1350 ed è morto a Voghera, fra il 1376 ed il 1379, molto giovane a non più di trentadue anni di età. Secondo tutte le biografie i genitori Jean e Libère De La Croix erano una coppia di esemplari virtù cristiane, ricchi e benestanti ma dediti ad opere di carità. Rattristati dalla mancanza di un figlio rivolsero continue preghiere alla Vergine Maria dell’antica Chiesa di Notre-Dame des Tables fino ad ottenere la grazia richiesta. Secondo la pia devozione il neonato, a cui fu dato il nome di Rocco (da Rog o Rotch), nacque con una croce vermiglia impressa sul petto. Intorno ai vent’anni di età perse entrambi i genitori e decise di seguire Cristo fino in fondo: vendette tutti i suoi beni, si affiliò al Terz’ordine francescano e, indossato l’abito del pellegrino, fece voto di recarsi a Roma a pregare sulla tomba degli apostoli Pietro e Paolo. Bastone, mantello, cappello, borraccia e conchiglia sono i suoi ornamenti; la preghiera e la carità la sua forza; Gesù Cristo il suo gaudio e la sua santità. Non è possibile ricostruire il percorso prescelto per arrivare dalla Francia nel nostro Paese: forse attraverso le Alpi per poi dirigersi verso l’Emilia e l’Umbria, o lungo la Costa Azzurra per scendere dalla Liguria il litorale tirrenico. Certo è che nel luglio 1367 era ad Acquapendente, una cittadina in provincia di Viterbo, dove ignorando i consigli della gente in fuga per la peste, il nostro Santo chiese di prestare servizio nel locale ospedale mettendosi al servizio di tutti. Tracciando il segno di croce sui malati, invocando la Trinità di Dio per la guarigione degli appestati, San Rocco diventò lo strumento di Dio per operare miracolose guarigioni. Ad Acquapendente San Rocco si fermò per circa tre mesi fino al diradarsi dell’epidemia, per poi dirigersi verso l’Emilia Romagna dove il morbo infuriava con maggiore violenza, al fine di poter prestare il proprio soccorso alle sventurate vittime della peste.

L’arrivo a Roma è databile fra il 1367 e l’inizio del 1368, quando Papa Urbano V è da poco ritornato da Avignone. E’ del tutto probabile che il nostro Santo si sia recato all’ospedale del Santo Spirito, ed è qui che sarebbe avvenuto il più famoso miracolo di San Rocco: la guarigione di un cardinale, liberato dalla peste dopo aver tracciato sulla sua fronte il segno di Croce. Fu proprio questo cardinale a presentare San Rocco al pontefice: l’incontro con il Papa fu il momento culminante del soggiorno romano di San Rocco. La partenza da Roma avvenne tra il 1370 ed il 1371. Varie tradizioni segnalano la presenza del Santo a Rimini, Forlì, Cesena, Parma, Bologna. Certo è che nel luglio 1371 è a Piacenza presso l’ospedale di Nostra Signora di Betlemme. Qui proseguì la sua opera di conforto e di assistenza ai malati, finché scoprì di essere stato colpito dalla peste. Di sua iniziativa o forse scacciato dalla gente si allontana dalla città e si rifugia in un bosco vicino Sarmato, in una capanna vicino al fiume Trebbia. 

Un cane porta ogni giorno il cibo a San Rocco
Qui un cane lo trova e lo salva dalla morte per fame portandogli ogni giorno un tozzo di pane, finché il suo ricco padrone seguendolo scopre il rifugio del Santo. Il Dio potente e misericordioso non permette che il giovane pellegrino morisse di peste perché doveva curare e lenire le sofferenze del suo popolo. Intanto in tutti i posti dove Rocco era passato e aveva guarito col segno di croce, il suo nome diventava famoso. Tutti raccontano del giovane pellegrino che porta la carità di Cristo e la potenza miracolosa di Dio. Dopo la guarigione San Rocco riprende il viaggio per tornare in patria. Le antiche ipotesi che riguardano gli ultimi anni della vita del Santo non sono verificabili. La leggenda ritiene che San Rocco sia morto a Montpellier, dove era ritornato o ad Angera sul Lago Maggiore. E’ invece certo che, sulla via del ritorno a casa, si sia trovato implicato nelle complicate vicende politiche del tempo: San Rocco è arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera davanti al governatore. Interrogato, per adempiere il voto non volle rivelare il suo nome dicendo solo di essere “un umile servitore di Gesù Cristo”. Gettato in prigione, vi trascorse cinque anni, vivendo questa nuova dura prova come un “purgatorio” per l’espiazione dei peccati. Quando la morte era ormai vicina, chiese al carceriere di condurgli un sacerdote; si verificarono allora alcuni eventi prodigiosi, che indussero i presenti ad avvisare il Governatore. Le voci si sparsero in fretta, ma quando la porta della cella venne riaperta, San Rocco era già morto: era il 16 agosto di un anno compreso tra il 1376 ed il 1379.
Prima di spirare, il Santo aveva ottenuto da Dio il dono di diventare l’intercessore di tutti i malati di peste che avessero invocato il suo nome, nome che venne scoperto dall’anziana madre del Governatore o dalla sua nutrice, che dal particolare della croce vermiglia sul petto, riconobbe in lui il Rocco di Montpellier. San Rocco fu sepolto con tutti gli onori. Sulla sua tomba a Voghera cominciò subito a fiorire il culto al giovane Rocco, pellegrino di Montpellier, amico degli ultimi, degli appestati e dei poveri.

martedì 8 marzo 2016

8 MARZO FESTA DELLA DONNA - DONNE DI POTERE, DI FEDE E DI CULTURA NEL MEDIOEVO TREVIGIANO

Premetto che non sono una specialista del settore, ma una persona curiosa, che si pone delle domande e cerca delle risposte, nei limiti delle sue possibilità e conoscenze. Mi ha sempre incuriosito e a volte infastidito, il modo in cui ci riferisce alla situazione delle donne nel medioevo. Anche al giorno d'oggi, qualsiasi evento, o accadimento in cui la donna viene tenuta in una situazione di inferiorità o di sottomissione, si cita sempre, in modo negativo, il medioevo. Ma fu veramente così? O fu solamente così? Eppure vi sono state numerose donne di potere in quell'età di mezzo, lunga vari secoli: Teodolinda, regina longobarda, oppure Trotula, che visse nella seconda metà del XI secolo, e che fu la prima donna medico presso la Scuola salernitana. E come non ricordare Matilde di Canossa o Eleonora d'Aquitania!
Pensando alla storia della mia terra, la Marca Trevigiana, mi accorgo che vi furono delle forti personalità femminili: Sofia da Colfosco, Soprana e Gaia da Camino.
A loro vorrei dedicare queste mie brevi note.
Abbazia di Follina

La prima, in ordine cronologico, è SOFIA DA COLFOSCO. Nacque fra il 1115 e il 1140 da Valfredo Conte di Colfosco e Adeleita figlia di Adalfredo conte di Zumelle. Per alcuni storici la madre era invece figlia di Ermanno Conte di Ceneda e di Zumelle. Discende quindi da un'antica famiglia di alto lignaggio e di origine longobarda, come lo erano anche le altre famiglie feudali del territorio del trevigiano: i Conti di Treviso poi Collalto, e di Da Montanara, che successivamente presero il nome di Da Camino. Sofia fu donna forte e decisa; dimostra di saper affrontare con energia e idee chiare i doveri derivanti dalla sua posizione sociale e dalla concentrazione di poteri che pervengono nelle sue mani. Figlia unica e unica erede sia da parte di padre che da da parte di madre andò sposa a Gueccello Da Camino nel 1154, unendo in questo modo feudi, beni e diritti comitali di queste famiglie. Sofia contribuì in modo determinante al consolidarsi, nei cruciali anni iniziali della sua storia, della potenza caminese. Nel 1155 un marchese Folco concesse alla Contessa Sofia ed a Guecellone da Camino l'investitura del Castello di Pieve di Cadore, mentre uno Scaffardo e un Collomano diedero loro altri beni in quel comitato; il tutto tramite l'intervento del potente Patriarca di Aquileia. Nel 1162 la mare Contessa Adeleita e il Conte Guido, forse suo secondo marito e forse anche padre di Gueccello – a seguito di un'abile e spregiudicata politica matrimoniale – investiranno i due giovani coniugi dei comitati di Ceneda, Belluno, e Cadore
Il segno della sua presenza è chiaramente individuabile sia nella differenza di rango fra lei e il marito (sempre citati come Gueccello/Weçelo e comitissa Sofia), sia nella differente linea politica da lei seguita, essenzialmente guelfa, rispetto a quella “imperiale” del marito. Egli fu sempre al fianco del Barbarossa, anche quando questi si recò a Venezia, ad incontrare e trattare il termine delle ostilità con Papa Alessandro III. Sofia, invece, si schierò contro il Barbarossa, aderì alla Lega Lombrda ed armò sessanta armati che portarono aiuto ai difensori del Castello di San Cassiano, nei pressi di Ancona; i cronisti narrarono che Sofia stessa combattè valorosamente nelle battaglie di Cassano (1160) e Bolchignano (1161). Sofia è altresì ricordata per la sua religiosità e pietà. Fu lei volere i monaci cistercensi a Follina ai quali donò, nel 1170, chiese, cappelle e relative pertinenze: grazie a ciò e al durevole legame con la famiglia Da Camino, nei secoli successivi, il monastero cistercense follinese divenne il più influente e ricco in tutte le Tre Venezie, con beni e proprietà lungo il Piave, in Cadore e ancora più a nord, nel Comelico.

Iscrizione della pietra tombale a ricordo di Sofia
 Sofia morì nel 1175, fu sepolta nella cappella gentilizia dell'abbazia di Follina. Il testamento lasciò eredi universali il marito ed il figlio Gabriele, ad eccezione dei castelli di Serravalle (Vittorio veneto) e di Zumelle, che lasciò al Vescovo di Ceneda e a quello di Belluno rispettivamente. Ne scaturì una lunga contesa, che portò anche a guerre e scontri armati, in particolare per il castello di Zumelle, e alla morte del vescovo bellunese. Anche da morta, Sofia ha fatto la storia.


SOPRANA nacque negli anni 1230-1240 e fu sorella del più famoso Gherardo III signore di Treviso e padre di Gaia. Sposò Ugone di Towres (Tures). Rimasta presto vedova e senza figli, e ottenuta la restituzione della sua dote personale, rientrò presso la sua famiglia, a Serravalle (attuale Vittorio Veneto). Scelse di abitare in una piccola casa, situata probabilmente sull'isola del fiume Meschio, di fronte al monastero di Santa Giustina, poco distante dal castello di famiglia. Nel monastero Soprana avviò così la costituzione di quella comunità monastica, aderente alla regola agostiniana, di cui essa fece parte divenendone badessa. In questo ruolo Soprana dimostrò di avere temperamento e iniziativa imprenditoriale e grazie a lei, il monastero ampliò notevolmente le sue proprietà.


Chiesa di Santa Giustina a Serravalle
La terza figura femminile caminese è GAIA. Figlia di Gherardo III e di Chiara della Torre, nacque probabilemte a Treviso verso il 1270. Visse felicemente la sua giovinezza accanto al padre e ai fratelli maggiori Rizzardo e Gueccello nella Treviso del Castel d'Amore e della poesia provenzale, mèta di trovatori e poeti, come Ferrarino da Ferrara, che fu, forse, il suo maestro. Il nome di Gaia, come quello del padre, il “buon Gherardo”, potente signore di Treviso, è legato a Dante. Nel Purgatorio, Canto XVI, Dante afferma di non conoscere Gherardo e Marco Lombardo risponde: “per altro soprannome io nol conosco / s'io nol togliessi da sua figlia Gaia”. Gaia, quindi, famosa in tutta la penisola italica, quasi più celebre del padre.
Essa è stata considerata, dai suoi primi biografi, fra le prime poetesse in provenzale, una troubairiz quindi, e se alcuni storici antichi ne parlano male, come di una donna discinta e immorale, è perchè si era perso il vero significato delle “dilettazioni amorose” di cui era esperta: non l'amore carnale ma la fin'amor della poesia cortese. 


Sigillo di Gaia
Ma fu anche donna di potere. Prima del 1291 sposò Tolberto del ramo dei Caminesi di Sotto, il quale acquisì nei primissimi anni del XIV, l'attuale Portobuffolé. Nel 1302 fu nominata erede universale da una certa Frixa, nobildonna di origine trevigiana; ne fu anche curatrice testanetaria per quanto riguarda i lasciti da gestire e spendere in elemosine e opere di carità. Ma ancor più indicative del temperamento e della nobiltà di Gaia, sono le parole del Doge Gradenigo, in una sua lettera del 28 luglio 1309, parole con le quali si rivolse direttamente a lei: “abbiamo inteso che alcuni malfattori... s'erano apparecchiati ad entrare nelle ville e ne' luoghi cìdi città nuova per depredare, ma che vi deste pensiero di sventare l'atteggiamenteo.... noi vi rendiamo vivissime grazie, giacché voi compiste un'opera degna della fiducia che noi abbiamo in voi...” Fu quindi una donna libera di agire, di inviare truppe a far fronte a masnade e malfattori, benchè il marito avesse fama di uomo d'arme, e non è poco!
Morì nel 1331 e l'ultimo atto è il suo testamento, rogato a Portobuffolè. Doveva essere un personaggio forte e carismatico, tanto che il marito, benchè sposatosi nuovamente con Samaritana Malatesta di Rimini, rimase sempre a lei legato e quando fu la sua ora, volle essere sepolto accanto alla sua amata Gaia.

Portobuffolè

martedì 1 marzo 2016

A ODERZO E CONEGLIANO VENETO LA 27^ GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA GUIDA TURISTICA

Anche in provincia di Treviso la giornata internazionale della Guida Turistica ha ottenuto un discreto successo. La manifestazione che si svolge in tutta Italia, quest’anno ha visto la partecipazione di circa 18.000 persone. Dalla Sicilia al Piemonte un piccolo esercito di guide turistiche abilitata ha offerto gratuitamente servizi di visita guidata tra borghi, città, celebri monumenti e itinerari segreti. Una brava guida deve avere molte competenze, prima fra tutte la conoscenza multidisciplinare approfondita e “sul campo” del patrimonio del territorio per il quale è abilitata e la capacità di comunicare e divulgare, anche utilizzando fluentemente lingue straniere.
Questa iniziativa è nata come momento di incontro tra i professionisti delle visite guidate  e i visitatori, anche per spiegare la bellezza e l’orgoglio di essere guide turistiche e di essere orgogliosi di presentare un patrimonio storico e artistico inestimabile.  In provincia di Treviso l’Associazione Guide Turistiche Abilitate “Guide di Marca” ha predisposto, in occasione di tale avvenimento, 5 itinerari in 5 diverse città: Treviso, Oderzo, Conegliano, Vittorio Veneto (Serravalle), Castelfranco Veneto.


 CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA: CONTROFACCIATA
 ODERZO, Le origini segrete della Serenissima
SABATO 20 FEBBRAIO 2016, ore 15.00 punto d’incontro: Piazza Grande presso scalinata della Chiesa

La mia esperienza di questa giornata della guida turistica è stata molto positiva. E’ ormai da diversi anni che in provincia di Treviso porto avanti questa iniziativa e ho visto crescere l’interesse per la manifestazione.  Quest’anno a Oderzo eravamo un nutrito gruppo di amanti dell’arte e dei segreti. Il titolo evocativo del mio percorso “Oderzo: le origini segrete della Serenissima” aveva lo scopo di incuriosire e far vedere che Oderzo non offre solo la possibilità di visitare la città romana di Opitergium.  Si può visitare anche quel  gioiello indiscusso che è la chiesa di San Giovanni Battista scoprendo i legami nascosti tra la città e la Serenissima. Questi rapporti e stretti contatti si svelano nella splendida controfacciata affrescata della chiesa dove si narrano le storie dei santi vescovi di Oderzo romana. I restauri del 2013 hanno permesso una lettura più immediata di questo ciclo di affreschi. La visita della chiesa e del piccolo ma ricco Museo del Duomo permette di comprendere ancor di più una storia dimenticata che merita attenzione e riconoscimento.

Giuseppina De Vecchi guida abilitata

 MUSEO DEL DUOMO; CROCIFISSI


FORO ROMANO:PIRAMIDE













CONEGLIANO VENETO, nobile eleganza
SABATO 20 FEBBRAIO 2016, ore 15.00
Molto positiva anche la visita guidata di questa bella cittadina. E’ forse più conosciuta per il suo buon vino, il Prosecco e per i suoi eleganti negozi. Tuttavia, se saliamo la Scalinata degli Alpini, lasciandoci alle spalle il centro moderno dello shopping, scopriremo l’antico borgo di Conegliano, sorto ai piedi del Colle Giano e del vecchio castello. L’incontro con il gruppo era previsto in Piazza Cima: circa venti persone, gran parte di loro dai paesi circostanti, ed anche 2 cagnolini, tranquilli e ben educati, che hanno così seguito i loro giovani padroni alla scoperta della città. La visita non poteva non iniziare con il gioiello artistico di Conegliano: la sala dei battuti e il duomo, con gli affreschi cinquecenteschi di Francesco da Milano, di Pozzoserrato a decorare interni e facciata esterna. 

IL DUOMO DI CONEGLIANO

Il duomo invece conserva l’unica pala d’altare di Giovanbattista Cima, maestro del rinascimento veneto a cavallo del XV e XVI secolo, presente nella sua città natale, la bellissima Madonna con Bambino e Santi, datata 1492-93 e commissionata proprio dai Gastaldi della Scuola dei Battuti. Lasciato il duomo abbiamo proseguito poi verso il convento di San Francesco e, percorrendo la Calle della Madonna della Neve e costeggiando le antiche mura della Castagnera, siamo saliti fino al castello, per ridiscendere poi e terminare nuovamente nel centro storico. Si tratta di un itinerario classico, e sono stata felice nel vedere l’interesse e l’attenzione nel seguire le spiegazioni. e soprattutto, l’apprezzamento per questa manifestazione, che si sta rivelando anche nella marca trevigiana, un momento importante per la valorizzazione del territorio e della nostra professione di guida turistica.


Giovanna Lorenzon guida abilitata

venerdì 29 gennaio 2016

CORIANDOLI! CORIANDOLI! MA CHI LI INVENTÒ?

Viva i coriandoli di Carnevale,
bombe di carta che non fan male!
Van per le strade in gaia compagnia
i guerrieri dell’allegria:
si sparano in faccia risate
scacciapensieri,
si fanno prigionieri
con le stelle filanti colorate.
Non servono infermieri
perchè i feriti guariscono
con una caramella.
Guida l’assalto, a passo di tarantella,
il generale in capo Pulcinella.
Cessata la battaglia, tutti a nanna.
Sul guanciale
spicca come una medaglia
un coriandolo di Carnevale.
(Gianni Rodari)

 
Ma come sono nati i coriandoli? chi li inventò? Pochi lo sanno, ma l'inventore di questi festosi e colorati pezzettini di carta fu Ettore Fenderl.

Il breve racconto di quando, da ragazzino a Trieste, ideò i primi coriandoli, è narrato dallo stesso Fenderl; registrato e trasmesso via radio il 4 marzo 1957 nella trasmissione Radio per le scuole a cura della RAI. Questo il passo saliente dell’intervista:

Ettore Fenderl
Come ho fatto l’invenzione dei Coriandoli di Carta è semplice, come semplicissima è l’invenzione stessa. Nel 1876 avevo 14 anni, ero molto precoce, di carnevale volevo fare il bulo colle ragazzine; ma non avevo danaro per comperare i confetti di gesso allora in uso. E così mi venne l’idea di prendere carte colorate, farne strisce, e tagliarle colla forbice a triangoli. Mise questi in uno scartozzo, andai sul pergolo del mio sarto al Corso di Trieste, e li gettai giù sulla folla.
Il primo successo è stato disastroso: rimbotti e gridi delle ragazze coi coriandoli nei capelli, cosicchè venne su una guardia a mettermi in contravvenzione e a sequestrarmi tutto.”
L'intervistatore chiede: ‘’E le fece pagare una multa?’’
Rispose Fenderl:“No, multa no; soltanto il sequestro dello scartozzo coi coriandoli”. E conclude dicendo: “Sono superbo di questa piccola invenzione quando penso alla sua immensa espansione per il divertimento di tanti ed ai centimetri di spessore di coriandoli, che si devono spazzare al Broadway ogni volta che si festeggia un grande personaggio”. (Storie di piccoli e grandi miracoli, 1960)

 La vita di Ettore Fenderl, fu lunga e fruttuosa, ma anche segnata da vicende familiari difficili, come la malattia mentale del figlio Flavio, ricoverato per lunghi anni presso l'Ospedale Psichiatrico di Siena e che ritornerà a vivere con il padre solo nel 1960 e proprio al figlio Flavio volle intitolare la Fondazione Flavio e Ettore Fenderl, per la cura e l'assistenza di malati gravi poveri.
 
Trieste

Egli nacque Trieste il 12 febbraio 1862 a Trieste, al tempo città asburgica e mitteleuropea. Suo zio Francesco Hermet era vice-podestà ed era anche il capo del partito irredentista. A Milano, un altro zio, l’avvocato e poi onorevole Andrea Molinari, era, pure lui, a capo del partito irredentista. Nel 1881 Ettore si recò a Vienna per gli studi superiori al Politecnico e fondò con altri studenti il Circolo Accademico Italiano, sempre con scopi irredentisti. Conseguì il diploma di ingegneria a Vienna e successivamente, il 6 settembre 1888, quello di ingegnere civile al Politecnico di Milano.
La sua attività professionale si svolse prima per conto della Regia Marina, del Ministero dell'Agricoltura e per il genio militare. A causa della grave malattia della madre, rientrò a Vienna con la moglie e il figlio, aprì uno studio di ingegneria civile, oltre ad alcune ditte per lo sfruttamento dei suoi brevetti: inventore fin da ragazzo, si dedicò non più ai coriandoli o altree cose amene, ma alle centrali per la produzione di acetilene (ne costruisce in Austria e in Russia!) e a tracciati ferroviari di montagna.
Ben presto lo attrassero le nuove scoperte nel campo della radioattività. Sviluppò alcuni brevetti che riguardavano l'applicazione delle radiazioni nel settore delle strumentazioni ottiche; scoperte, che secondo la sua opinione, furono copiate in almento tre stati: Germania, Usa e Austria, tanto che il governo austriaco lo risarcì con 800 gr. di radio. Non fu facile ottenerlo! Ma ci riuscì, anche grazie all'intervento del governo italiano, da lui espressamente richiesto. Dopo la fine della Grande Guerra, ritornò in Italia, a Roma, con l’intento di sfruttare le sue invenzioni e sicuramente uno dei primi passi eseguiti fu proprio l’acquisizione del Radio, che donò successivamente allo Stato Italiano.
La sua donazione fu un contributo decisivo per la nascita dell’Istituto Statale di Radioattività Italiano. Scrisse in
Storie di Piccoli e Grandi Miracoli:

Appresi poi che effettivamente era stato costituito –per economia, in scala minore, - nel 1927 in via Panisperna un Laboratorio-Scuola per studi e ricerche radioattive, annesso all’Istituto Fisico della Università, lo stesso cui era stato affidato nel 1920 il mio Radium, che usava distribuendone l’Emanazione in aghi di vetro agli ospedali.
E’ in questa scuola che il giovane Enrico Fermi insegnò ad una cerchia di studenti e scoprì la disintegrazione artificiale dell’atomo…’’
.

Tomba monumentale di Ettore Fenderl a Vittorio Veneto
Non vi è dubbio che Fenderl univa le spiccate capacità inventive e tecniche a quelle per l’esercizio negli affari e godeva sicuramente di buoni appoggi politici che sembrava sfruttare al meglio. Tuttavia, nel 1936, acquistò delle proprietà a Vittorio Veneto: quasi un ritiro dagli affanni della vita pubblica e attiva. Infatti chiamerà ‘’la tana’’ i luoghi e i fabbricati alle pendici del Monte Altare, al di là della stazione ferroviaria di Vittorio Veneto, oggi definita nel complesso Area Fenderl, che volle essere destinata, dopo la sua morte, a scopi sociali.
Ettore Fenderl morì nel 1966, il 23 novembre, alla venerabile età di 104 anni. Riposa nel cimitero di Sant’Andrea a Vittorio Veneto.